Quando i canepinesi fondarono Monte Romano (parte seconda)

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Il palazzo comunale di Monte Romano.

CANEPINA – L’Amministrazione del Santo Spirito, nel 1612, capì che il centro nevralgico della tenuta non era Rocca Respampani,  sede del governatorato, ma Monte Romano, dove risiedeva la maggioranza dei coloni, quasi tutti ospitati in capanne di legno o in abitazioni di fortuna, e dove l’osteria, gestita dal canepinese Cione detto Maccione, era diventata un importante luogo d’incontro, di commercio e, più in generale, di aggregazione. Nella tenuta c’erano due tipi di lavoratori: coloro ai quali il Santo Spirito aveva affittato i terreni da coltivare, che arrivavano soprattutto dalla vicina Barbarano, e i veri e propri coloni, che erano in primo luogo canepinesi. I barbaranesi, abitando relativamente vicino, restavano sul posto il tempo strettamente necessario allo svolgimento dei lavori. Tutti gli altri erano stanziali o «stagionali». Oltretutto, Monte Romano si trovava nei pressi di importanti vie di comunicazione, al contrario di Rocca Respampani, che era isolata e difficilmente raggiungibile. La decisione degli amministratori fu conseguente: Monte Romano doveva diventare un centro abitato a tutti gli effetti. E, contemporaneamente alle prime case in muratura, si stabilì di costruire una chiesa. Come al solito fu indetta una sottoscrizione: firmarono ventinove «omnes terre Barbarani» e trentuno tra canepinesi e blerani.

La chiesa fu consacrata nel 1615. Ma molto rimaneva da fare: l’annessa abitazione per il prete; la sagrestia; le decorazioni; le suppellettili eccetera.  Furono quindi necessarie altre due sottoscrizioni. Nel 1627 servirono altre due sottoscrizioni, firmate da undici barbaranesi e venti canepinesi per far fronte alla gestione della chiesa che papa Urbano VIII aveva eretto a priorato regolare del Santo Spirito. In quell’occasione i coloni di Canepina, che ormai erano diventati almeno una cinquantina e molti avevano portato con loro le famiglie, chiesero e ottennero che Santa Corona diventasse protettrice di Monte Romano. Una scelta, quest’ultima, che aveva anche dei risvolti «politici», giacché rendeva ancora più saldi i rapporti tra le due comunità e permetteva ai canepinesi di assicurarsi derrate di grano necessarie ai propri fabbisogni nonché un nuovo mercato per i propri prodotti, le botti, il legname e la canapa in primo luogo. Tanto che le autorità ecclesiastiche canepinesi concessero a Monte Romano una parte delle reliquie di Santa Corona che custodivano: il cranio, racchiuso in una teca in legno dorato.

Santa Corona e Sant’Isidoro, protettori di Monte Romano.

L’aumento delle terre coltivate grazie all’arrivo di nuovi coloni nel corso del XVII secolo impresse un ulteriore sviluppo a Monte Romano, che assumeva di anno in anno l’aspetto di un centro abitato vero e proprio, anche se di piccole dimensioni. Nel 1751 gli abitanti erano «biscentum septuaginta quinque … in sexaginta quinque familias» (duecento cinquanta abitanti divisi in 65 famiglie), ai quali vanno aggiunti almeno altrettanti «stagionali». Quindi, dall’inizio dell’estate, quando iniziava la stagione della mietitura, fino ai primi giorni di novembre, quando si concludeva la semina, a Monte Romano erano presenti circa cinquecento persone e un numero imprecisato di funzionari del Santo Spirito.  L’aumento della popolazione richiedeva nuove strutture: le fontane, la mola per macinare il grano, le botteghe del pizzicagnolo e del macellaio, il fabbro, il falegname. Ma soprattutto serviva un ospedale e quindi un medico, un maestro per la scuola, un cerusico e via dicendo.  Il 4 febbraio 1759, l’amministratore, scrive: «… nel considerar meglio la presente situazione, la quale è in continuo notabile accrescimento di gente ed in modo che quanto prima porterà alla necessità di tenersi un Governatore e Cancelliere residenti ed inoltre un medico e il chirurgo come altresì il cappellano confessore mi è nato il dubbio se il resecamento da me ordinato de mezzanini nella nuova fabbrica fosse di pregiudizio nei tempi avvenire…». Nei cinquant’anni successivi l’arrivo di coloni proseguì senza sosta, con esso la costruzione delle case e dei servizi, quindi anche i commercianti e gli artigiani: da Canepina, ad esempio, arrivarono Antonio Pomi, «puzzolanaro» e Antonio Renzoni «capomastro muratore», entrambi impegnati nella costruzione dell’ospedale. I mattoni vennero forniti da Domenico Ripa della Fornace del Blerano.

A cavallo tra la fine del Settecento e i primi due decenni dell’Ottocento, gli abitanti di Monte Romano diventano circa mille e il paese subì uno sviluppo urbanistico di alto livello, uno dei più belli e razionali della provincia di Viterbo. Anche il numero di coloro che erano nati sul posto era in costante crescita, tanto che il 21 settembre 1816, il cardinale Consalvi, «dal palazzo del Quirinale», proclamò Monte Romano «Comunità» e approvò l’elenco dei primi diciotto eletti al consiglio comunale: Giuseppe Anibale, Giuseppe Bastianelli, Simone China, Giuseppe Fanelli, Giuseppe Franchi, Paolo Galli, Giuseppe Gasbarri, Vincenzo Ghigi, Bernardino Natali, Stefano Paparozzi, Micchel’Angelo Persi, Famino Pomi, Giuseppe Pucciatti, Giovanni Rossini, Francesco Serafini, Giovacchino Venci, Antonio Venturi. I canepinesi erano sette (Bastianelli, Fanelli, Natali, Paparozzi, Pomi, Pucciatti e Serafini). Il primo consiglio comunale si riunì il primo ottobre 1816: risultarono assenti Venci e Franchi. Al posto di quest’ultimo fu nominato un altro canepinese: Filippo Paparozzi.

La fontana del Mascherone di Monte Romano.

Ma il consiglio partì subito male: solo due, Venturi e China, accettarono l’incarico con motivazioni varie. Tra i canepinesi Natali e Serafini si dichiararono contrari all’istituzione del consiglio «…per principio». «Io campo con le mie fatiche e non sono capace di comunità» (Bastianelli); «Io sono inabile all’ufficio di consigliere perché attendo alla campagna e credo meglio fare li lavori suddetti che intrigarmi sugli affari della comunità (Stefano Paparozzi); «Io sto a garzone e perciò non posso fare il consigliere» (Pomi); «Essendo io un giornaliere, secondo la legge, non ho voce in capitolo trattandosi di comunità, poi è difficile perché qua è tutta roba del Santo Spirito» (Fanelli); «Stiamo meglio così essendo semplici contadini» (Filippo Paparozzi). L’ultimo canepinese a prendere la parola, probabilmente, svelò il vero motivo di tante rinunce: «Non voglio discutere li ordini del nostro Commendatore» (Pucciatti). Un inizio incerto, dovuto anche al fatto che nella lista dei candidati non era stato inserito alcun rappresentante delle nuove categorie: commercianti, impiegati, artigiani che si erano insediati nella tenuta.

La strada era però definitivamente tracciata: il 29 marzo 1831, papa Gregorio XVI concesse all’amministrazione di Monte Romano l’edificio della residenza comunale. Da quel momento, tutti coloro che si erano lì trasferiti vennero cancellati dagli uffici anagrafe dei paesi di nascita per diventare cittadini di Monte Romano. Canepina perse definitivamente tra i duecento e i duecentocinquanta abitanti. Ma i rapporti con Monte Romano proseguirono per un altro secolo almeno con gli «stagionali» che, a decine, tutti gli anni, a giugno, si recavano a «méta». Fino a una quarantina d’anni fa, i cognomi sull’elenco telefonico di Canepina e di Monte Romano erano gli stessi per almeno un terzo. Le persone più anziane di varie famiglie avevano mantenuto rapporti con i «parenti» di Canepina o di Monte Romano fino al secondo Dopoguerra. Ora i due paesi hanno in comune la Patrona Santa Corona. Si potrebbe partire da qui per ricostruire un rapporto strettissimo durato oltre quattro secoli.

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