Canepina del giallo e del mistero

Cento anno fa l’omicidio impunito di «Toto e Ggojo»

Antonio Blasi fu ucciso per rapina in località Pratarina la sera del 22 aprile 1923, oggi una Messa in suffragio nella chiesa Collegiata

La tomba di Toto e Ggojo nel cimitero di Canepina.

CANEPINA – Esattamente cento anni fa, la sera del 22 aprile 1923, la comunità di Canepina fu sconvolta da una notizia che, di bocca in bocca, irruppe in un baleno in tutte le case del paese: «Hanno ammazzato Toto e Ggoio». Con il passare del tempo, la notizia fu contornata da particolari sempre più raccapriccianti. Innanzitutto, il luogo dell’agguato mortale: la località «Pratarina», alle porte del paese. Poi il dettaglio più cruento: era stato massacrato a forza di botte e poi finito con un colpo di pistola alla nuca. Infine, il movente: una rapina.

Il cadavere di Toto e Ggojo fu trovato intorno alle 20,30 da alcuni passanti. Era seminascosto all’imbocco di un cunicolo che si trovava, e si trova, al ciglio della strada, prospiciente il teatro «Momo Pesciaroli›. Cunicolo costruito in epoca etrusco-romana per portare a valle l’acqua che sgorgava da qualche sorgente più in alto. Un luogo isolato lungo la strada che da Vallerano conduce a Canepina.

Ma chi era la vittima dell’efferato omicidio? Il suo vero nome era Antonio Blasi, soprannominato, appunto, Toto e Ggojo. Aveva 66 anni, era sposato con figli. Era un commerciante di bestiame e mugnaio (era comproprietario del molino che si trovava proprio sotto la chiesa Collegiata, che dava il nome alla porta d’ingresso al paese costruita alla fine del 1400, la «Porta del Mulino» appunto).

La mattina del 22 aprile, Toto e Ggoio si era recato a piedi a Vallerano, Vignanello e chissà dove per i suoi affari. É probabile che avesse venduto del bestiame e avesse incassato del denaro. É anche ragionevolmente presumibile, alla luce dei fatti successivi, che le sue mosse non sfuggirono a un gruppetto di malviventi i quali, in pochissimo tempo, architettarono il piano della rapina e si recarono sul luogo dell’aguato ad attendere la vittima.

Nel tardo pomeriggio, l’ignaro commerciante canepinese, ultimati i suoi rapporti di lavoro, si era incamminato per tornare a casa. Intorno alle 19 giunse alla Pratarina. Da lì, volgendo lo sguardo verso destra, poteva vedere il paese e la zona dove abitava, a fianco della chiesa di San Giovenale, al Castello. Chissà cosa passò nella sua mente in quei momenti: forse pensò al riposo che l’attendeva dopo una giornata di lavoro, oppure immaginò che un minuto dopo sarebbe giunto alla Fontanella, dove si sarebbe dissetato. Qualunque fosse il suo pensiero venne bruscamente interrotto da una gragnola di colpi che lo fecero cadere a terra e da un colpo di pistola che lo raggiunse alla nuca (l’autopsia accertò che il proiettile non era riuscito a trapassare l’osso della scatola cranica). Non è stato mai chiarito se morì sul colpo o se restò lì ferito e sofferente prima di spirare.

Sul posto di recarono subito il maresciallo dei carabinieri Benassi e il medico condotto Scorsa. Quest’ultimo non poté fare altro che costatare l’avvenuto decesso, causato dai colpi che gli erano stati inferti sul capo e in altre parti del corpo. In un primo memento, nessuno s’avvide del proiettile conficcato nella nuca. Verrà scoperto dal medico legale durante l’autopsia. Dalle tasche di Toto e Ggojo era sparito il portafogli. Da qui la conclusione che l’omicidio fu commesso a scopo di rapina.

Le indagini, che si rivelarono subito complesse, portarono alla vicina Vallerano, dove vittima si era fermata sia all’andata che al ritorno del suo viaggio d’affari. Ci volle del tempo, ma alla fine furono individuati i presunti colpevoli: erano tre valleranesi con la fedina penale non proprio immacolata.  Uno di loro, non appena fu informato di essere imputato d’omicidio, fuggì in Francia e fece perdere definitivamente le sue tracce. Gli altri due, dopo interrogatori, riscontri, verifiche di alibi, uscirono di scena poiché il giudice istruttore chiese e ottenne che fossero scagionati. Insomma, l’omicidio di Toto e Gojo era destinato a rimanere impunito.  A far riaprire le indagini non bastò nemmeno il fatto che uno dei tre imputati, tempo dopo, fu arrestato, processato e condannato all’ergastolo per un omicidio commesso con le identiche modalità di quello di Toto e Gojo. Ergastolo che scontò nel carcere di Livorno.

La moglie e i figli fecero costruire una piccola stele sul luogo dell’agguato, sulla quale fu apposta una lapide con il nome della vittima e la data dell’omicidio. Stele che i rovi e il terriccio che smonta continuamente dalla collina soprastante, ha occultato per anni alla vista dei canepinesi.

Dieci anni fa, lo scrittore viterbese Alessandro Perini ha scritto un romanzo-inchiesta sull’omicidio di Toto e Ggojo. Il libro, tra fantasia letteraria e riscontri archivistici, ricostruisce complicità, segreti familiari, ricatti, paura, rimorsi e tanta voglia di dimenticare che caratterizzarono una storia nera protrattasi per lunghi anni.

Antonio Blasi, detto Toto e Ggojo, era padre di Ersilia Blasi, che sposò Arturo Pizzi (e Bbizzone); una loro figlia, Domenica Rosa, comunemente chiamata Rosetta, sposò Venerino Foglietta (e Ggolonnello); i loro figli sono il dottor Luigi Foglietta, psicologo, e le sorelle Margherita e Donatella. Di Luigi, Margherita e Donatella quindi, Toto e Ggojo era il bisnonno. E sono proprio loro che oggi pomeriggio, nella chiesa Collegiata, faranno celebrare una Messa di suffragio per la vittima del delitto rimasto impunito.

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