Quattro pontefici “ospiti” di Canepina (prima parte)

Si tratta di Pio II, Pio VI, Pio VII e Gregorio XVI

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

Un ritratto di Pio II, il primo papa “ospite” di Canepina

CANEPINA – Quattro papi hanno fatto sosta o sono transitati suo territorio di Canepina: Pio II, Pio VI, Pio VII e Gregorio XVI. Solo uno di loro, Pio II, Silvio Enea Piccolomini (Siena, 1405 – Roma, 14 agosto 1464) entrò nel paese dove pernottò e dove, prima di ripartire per la tappa successiva, Nepi, celebrò messa. Gli altri tre, Pio VI, Giovanni Angelico Braschi, (Cesena, 25 dicembre 1717 – Valence sur Rhône, 29 agosto 1799), Pio VII, Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaromonti (Cesena, 14 agosto 1742 – Roma, 29 agosto 1823) e Gregorio XVI, Bartolomeo Alberto Cappellari (Belluno 18 settembre 1765 – Roma, 1° giugno 1846) transitarono con il loro seguito sulla strada che da Viterbo sale fino al Posto Montagna, che si trova appunto nel territorio di Canepina. Pio VI, prigioniero dei francesi che, nell’inverno del 1799, lo stavano trasportando a Valenza, dove morì pochi mesi dopo, ovviamente non si poté fermare, né a Canepina nessuno era informato del suo passaggio. Nessuno tranne uno, un canonico, come si vedrà più avanti. Del passaggio dei quattro papi a Canepina esiste un’ampia e dettagliatissima documentazione, sia «ufficiale» che locale.

Pio II arrivò a Canepina all’imbrunire del 3 ottobre 1460 e descrisse di suo pugno il breve soggiorno ne «I Commentari», un’autobiografia in cui analizza, in terza persona, l’evolversi delle intricate vicende politiche e religiose del Quattrocento.

La copertina del libro “I commentari” di Pio II

«Arrivammo a Canepina che era già sera e lì passammo la notte. Canepina giace quasi alle falde del monte Cimino, dalla parte dove nasce il sole, ma si trova in una valle tanto oscura e profonda che il sole si vede appena. Un torrente che scende dal monte lambisce le mura del borgo. I colli sono coperti da fitti castagni, che d’estate rendono quel luogo ancora più oscuro. Non vi sono quasi altri alberi eccetto qualche noce e qualche melo. Gli abitanti hanno costruito case di legno dove abitano sterri come le api negli alveari., tanto che in ogni piccola casa abitano più famiglie. La coabitazione promiscua fa moltiplicare la gente: il fumo, che è tantissimo nelle case, secca i cattivi umori. Il papa dormì in una stanzetta non più grande del letto e, per stare senza fumo, rimase senza fuoco». Il mattino successivo, Pio II celebrò messa in una delle chiese del paese, probabilmente a San Giovenale, all’epoca l’unica protetta dalle mura castellane. Poi riprese il viaggio. I documenti finora conosciuti non svelano quali preparativi furono organizzati a Canepina per accogliere il papa. Le autorità locali erano state avvisate con qualche giorno d’anticipo dell’arrivo dell’illustre ospite, è quindi ragionevolmente presumibile che le finestre delle case, moltissime in legno, poche in pietra, che si affacciavano sui vicoli attraversati dal pontefice fossero addobbate con drappi e qualche arazzo, ma anche con fiori di campo e frasche.

La descrizione di Canepina fatta da Pio II, sebbene indirettamente, apre uno spaccato anche sulla dura realtà sociale ed economica dei canepinesi in quell’epoca. Solo castagni, qualche melo e qualche noce costituivano le risorse agricole della popolazione. La lavorazione del legname, dei cerchi delle botti, l’intrecciare cesti costituivano le principali attività, come del resto è stato anche nei secoli successivi. Insomma, un’esistenza difficile, comune a molte altre comunità mentre il Medioevo volgeva al termine e il Rinascimento stava per sorgere.

Un ritratto di papa Pio VI

Trecentotrentanove anni dopo, un altro papa, Pio VI, transitò a Canepina, al Posto Montagna, in condizioni ben più drammatiche: era stato fatto prigioniero dai francesi che lo stavano trasportando in Francia. Egli, vecchio e malato, si era rifiutato di riconoscere l’assetto politico scaturito dalla Rivoluzione Francese e per questa ragione Napoleone, dopo aver invaso lo Stato Pontificio, ordinò che fosse esiliato in Francia, dove morì poco dopo. Pio VI, amante dello sfarzo e delle cerimonie pompose, fece rinascere il nepotismo, assegnando ai parenti generose pensioni e costruendo per il nipote Luigi il palazzo Braschi. Desiderando di essere ricordato come patrono delle arti, impiegò ingenti somme per costruire splendidi edifici come la sacrestia di San Pietro e il museo Pio-Clementino. Spese molto anche per migliorare la rete stradale dello Stato Pontificio.

In una sua biografia, conservata fino al 1944 nel Castello di Rota, una frazione di Tolfa, vicino a Roma, è ricordato un episodio che riguarda Canepina. Arrivata a Viterbo, davanti a Porta Romana, la carrozza con a bordo il papa prigioniero, si fermò per una sosta: i cavalli avevano bisogno di riposo. Dopo qualche minuto, un soldato francese si accostò allo sportello della carrozza e confabulò qualche istante con il papa. Subito dopo s’inginocchiò e Pio VI, affacciato dal finestrino, gli impartì la benedizione. Prima che i suoi commilitoni, che avevano assistito esterrefatti alla scena, intervenissero, quel soldato aveva fatto perdere le tracce. «Era un canonico di Canepina che si era travestito da soldato per avvinare il papa» era scritto sul manoscritto della biografia di Pio VI, probabilmente andato perduto durante al Seconda Guerra Mondiale.

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