L’antica tradizione del «ritratto» di Santa Corona

É documentata fin dal 1766, ma probabilmente risale al secolo precedente

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

La relazione finale della Visita Pastorale del Vescovo di Orte del 1766

CANEPINA – «Essendoci stato partecipato che senza licenza dell’Ordinario si faccino diverse questue in questa terra per celebrare col ritratto di essa la festa popolare di S. Corona, noi non intendiamo impedire tal festa anzi desideraressimo che si celebri con qualche pompa e decoro che merita si gran Santa con opere di pietà e divozione, che molto più ad essa piacciono di qualunque profano divertimento, però permettiamo che dette questue si proseguano a farsi secondo il solito con questa legge: che la terza parte di esse si depositi appresso il Depositario Generale di questi luoghi ad effetto di erogarla con nostro ordine a suo tempo in riattamento e nella riforma di questa Chiesa Matrice, che per verità ne ha bisogno per poterla almeno render libera dalla grande umidità, e così anche più comoda e salubre per il clero e per il popolo…». Questa una delle disposizioni impartite dal vescovo di Orte, Francesco Maria Forlani, il 15 giugno 1766, al termine di una visita pastorale a Canepina durata una settimana. Il testo dimostra che la tradizione di far realizzare e distribuire a tutte famiglie l’effigie di Santa Corona, come avviene tuttora, è antichissima. E probabilmente era praticata da almeno dal 1600. Nel cosiddetto «stato di salute» in uso dopo la grande pestilenza del 1629-1633, con il quale si certificava l’immunità da malattie epidemiche di colui che lo possedeva, in alto a sinistra era impressa un’immagine di Santa Corona con la palma del martirio in una mano.

L’immagine di Santa Corona del 1792 con Canepina sullo sfondo.

Per inciso, il documento del vescovo Forlani, oltre alla «grande umidità» di cui soffriva la Collegiata, svela anche che, proprio in quegli anni, era in programma il suo «riattamento» e la «riforma». Il progetto prevedeva di abbattere completamente la parte absidale al fine di costruire il «cappellone» dell’altare maggiore e le due cappelle laterali (quella di destra dedicata a Santa Corona), coprire i soffitti delle tre navate con le volte, far realizzare il grande organo che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso si trovava sopra la porta d’ingresso principale. Non è dato sapere in che anno i lavori ebbero inizio, ma è documentata la fine: il 1816. A proposito della Cappella di Santa Corona, va ricordato che nel 1541, i priori di Canepina assegnarono al «Magister Antonius Maria Bartholomei de Biancolins pictor del Modena» l’incarico di realizzare un affresco di Santa Corona nella cappella a lei dedicata. Affresco che è andato perduto.

Il «ritratto» erano generalmente eseguito da artisti semisconosciuti, più spesso da artigiani locali. Raramente venivano incaricati artisti di una qualche importanza, sebbene limitata all’ambito viterbese.  Alla fine 1800, le incisioni in rame, che erano il metodo più usato poiché permetteva per eseguire le immagini in quantità praticamente illimitate e, soprattutto, potevano essere usate più anni, furono soppiantate della fotografia. E proprio come avveniva con le lastre di rame, i vetrini sarebbero stati utilizzati per più anni. Due esempi per tutti: la fotografia fatta eseguire da don Emidio Moscatelli nei primi anni del 1900, fu riproposta fino agli anni Trenta; l’altra fotografia eseguita per la festa del 1946-47, la prima del Dopoguerra, è stata in uso per oltre vent’anni. Qualunque sia il supporto, sono almeno quattro secoli che i canepinesi, ogni anno, fanno il «ritratto» alla loro protettrice. Ci sono state delle brevi interruzioni dovute a gravissime situazione: guerre, pestilenze, carestie, ma la tradizione è sempre ripresa. E lo sarà anche il prossimo anno, alla faccia del Covid-19.

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