Misterioso accoltellamento in una locanda a Canepina

Il fatto avvenne il 18 novembre 1807 e consentì di scoprire altri gravi delitti
grazie allo spirito d’osservazione della locandiera, Maria Assunta Luzzetti

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

Una vecchia immagine della Corte d’Assise di Viterbo.

CANEPINA – Un forte e gelido vento di tramontana sferzava Canepina da ore. Con il calar della sera iniziò anche a piovere. Una pioggia fitta e insistente che aveva indotto i più a rinchiudersi in casa. Le strade erano deserte, pochi gli avventori nelle bettole. In quel clima di tregenda, nessuno, o quasi, si accorse di un uomo avvolto in pastrano nero, con un grosso cappello in testa che entrò in paese dalla porta di san Sebastiano in sella a un cavallo. Giunto in piazza san Michele Arcangelo scese da cavallo e, a piedi, s’avviò verso il Vallerio. Evidentemente conosceva il paese poiché si fermò davanti alla porta di una locanda. Legò il cavallo ed entrò. Si fermò poco, forse un paio d’ore, poi uscì, rimontò in sella e, benché fosse ormai notte, si diresse verso Porta dei Frati, uscì dal paese e proseguì il viaggio per chissadove. Era il 18 novembre 1807.

Il mattino seguente, di buonora, il silenzio del Vallerio fu bruscamente lacerato dalle grida della proprietaria, o una lavorante, della locanda, Maria Assunta Luzzetti: «Curite, curiteee: hanno ammazzato no jommino ’ndra letto». Poco dopo arrivarono il brigadiere della gendarmeria e un suo collaboratore: entrarono nella stanza e s’accorsero che l’uomo disteso nel letto non era morto. Rantolava e teneva una mano premuta sull’addome. Le lenzuola erano intrise di sangue. Tanto sangue. Il brigadiere mandò a chiamare il medico, che visitò il ferito ed emise la diagnosi: «É stato accoltellato. Un solo colpo inferto all’altezza dello stomaco. Ha perso molto sangue. È gravissimo, bisogna portarlo in ospedale…». Mentre veniva organizzato il trasporto, Maria Assunta Luzzetti raccontò ai gendarmi del misterioso uomo arrivato la sera prima e che, dopo aver mangiato e bevuto, chiese una camera dove passare la notte. Ma dopo un paio d’ore saldò il conto, dicendo che doveva immediatamente rimettersi in viaggio.

Una veduta di via XX Settembre, già via Vallerio, negli anni Cinquanta.

Il ferito, Nazzareno Taffini, 36 anni, nullafacente, originario di Terni ma residente a Orte, sopravvisse. Una decina di giorni dopo, accompagnato da alcuni parenti che nel frattempo lo avevano raggiunto, poté tornare a casa. Interrogato dai gendarmi dichiarò di non essere in grado di dire chi l’avesse accoltellato: «È entrato in camera mentre dormivo, mi ha colpito e si è dileguato. Ho visto solo un’ombra scura» dichiarò.

Alcuni mesi dopo, davanti al «Tribunale Civile e Criminale di Prima Istanza di Viterbo» iniziò un processo per duplice omicidio, rapina e violenze varie. Un agguato attuato lungo la strada tra Orte e Vasanello, di cui rimasero vittime due commercianti romani, mentre due loro garzoni furono feriti. Sul banco degli imputati c’era proprio Nazzareno Taffini, il sopravvissuto dell’accoltellamento di Canepina.  Era accusato di aver commesso il duplice delitto insieme a un complice, Giuseppe Zuppante, 39 anni, anch’egli domiciliato di Orte, anch’egli nullafacente. Erano seduti l’uno a fianco all’altro e dialogavano cordialmente. Erano stati arrestati due mesi prima grazie a una delazione. Nessuna prova concreta contro di loro: il processo si basava solo su indizi. Per questo gli imputati e i loro avvocati contavano di sfangarla.

Tra i vari testimoni citati dalla Corte c’era anche la locandiera Maria Assunta Luzzetti. I giudici si erano infatti convinti che il ferimento di Taffini a Canepina fosse in qualche modo collegato con l’agguato di Vasanello. Quando fu invitata a guardare l’uomo ferito nella sua locanda e dire se lo riconosceva, ella rimase frastornata e, anziché girare lo sguardo verso colui che le era stato indicato dai giudici, scrutava l’altro imputato. «Signora riconosce quell’uomo?» tornò a chiederle il magistrato. E lei: «Li conosco tutti e due: quello ferito e quello che l’ha colpito. È seduto al suo fianco» esclamò sicura. Nell’aula scoppiò il parapiglia. Taffini afferrò Zuppante per il collo e strozzarlo: «Giuda! Traditore!» urlava mentre i gendarmi tentavano di fargli allentare la morsa.

Il processo fu interrotto per alcuni minuti e quando riprese ci fu un altro colpo di scena: Taffini chiese di parlare e fu un fiume in piena. Non solo confessò di essere stato l’autore del duplice omicidio insieme a Zuppante, ma rivelò che i due avevano commesso altri numerosi reati di varia gravità. Il feritore, da parte, sua confermò tutto e alla domanda sul perché aveva accoltellato il suo sodale rispose: «Finché sono stato io a proporre e organizzare i colpi, abbiamo sempre avuto un bottino maggiore di quanto ci aspettassimo. Una volta che l’ha proposto lui, non solo abbiamo dovuto uccidere due uomini perché avevano reagito con veemenza, ma abbiamo racimolato solo pochi bajocchi. Così decisi che avrei avuto anche la sua parte. Sapendo che avrebbe pernottato a Canepina, l’ho raggiunto per rapinarlo e, per evitare di essere riconosciuto, l’ho accoltellato…». Entrambi furono condannati a morte. Anzi:«… alla morte esemplare». Maria Assunta Luzzetti, per qualche tempo, fu l’involontaria eroina di Canepina.

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