Castagne, ci vorrebbe un altro miracolo come nel 1750

Fu compiuto da San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, mentre era a Canepina

Un ritratto di San Paolo della Croce

CANEPINA – Tra gli atti del processo di Canonizzazione di Paolo della Croce, al secolo Paolo Francesco Danei (Ovada, 3 gennaio 1694 – Roma, 18 ottobre 1775), fondatore della Congregazione dei Chierici Scalzi della Santissima Croce e della Passione di Gesù Cristo, comunemente chiamati Passionisti, nonché delle monache claustrali Passioniste, è citata più volte Canepina. Vieppiù, è proprio un miracolo avvenuto a Canepina, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, ad aver contribuito alla proclamazione della santità di Paolo della Croce. Si tratta del cosiddetto «Miracolo delle castagne» compiuto dal religioso nel settembre del 1750, mentre era impegnato in una «missione» a Canepina. Le missioni consistevano in alcuni giorni di predicazioni e incontri di preghiera in una comunità parrocchiale. Una pratica molto in voca fin dal Medioevo.

Il «Miracolo delle castagne» è ampiamente descritto in un volume intitolato «Vita del Venerando Servo di Dio P. Paolo della Croce» scritto da un sacerdote della medesima Congregazione: P. Vincenzo Maria di San Paolo, il quale nel sottotitolo precisa che tutte le notizie sono: «Estratte fedelmente dai processi ordinari». Il volume, stampato a Roma dalla tipografia Lazzarini nel 1786, è anteriore di 81 anni alla Canonizzazione del fondatore dei Passionisti, proclamata nel 1867 da Pio IX, l’ultimo Papa–Re.

La copertina del libro sulla vita di Paolo della Croce pubblicato a Roma nel 1896.

Ecco la narrazione a pagina 314 del volume: «Faceva una volta missione nella Terra di Canepina nel mese di Settembre 1750, e perché in quell’anno si vedeva che la raccolta delle castagne doveva essere scarsissima, essendo già le fronde degli alberi ingiallite, e quasi aride, ed i ricci patiti di molto per gran siccità di quella stagione; il popolo che ricava la maggior parte del suo sostegno dalle castagne, era in afflizione, e costernazione grande. Avvedutosene il P. Paolo, e mosso da compassione, si accese di desiderio di consolar quella gente. Risvegliata pertanto in sé una gran confidenza nella Provvidenza di Dio, procurò di eccitarla ancora nel popolo, e dal palco in pubblico disse: “Non dubitare Popolo mio, raccomandatevi a Dio, e confidate in esso mentre io spero che la raccolta delle castagne di quest’anno sarà abbondante”. Ed infatti terminata la missione e partito il Servo di Dio, venne una pioggia copiosa e sì feconda, che invigorite le piante, produsse tanti frutti, onde la raccolta riuscì abbondantissima, né se n’è veduta una più abbondante di quella».

Il libro racconta poi che «un simile beneficio ottenne con la sua orazione al popolo di Vallerano, a cui fece la missione nello stesso anno e nella stessa stagione. I castagneti del Territorio di quel Paese avevano patito più di quelli di Canepina, i castagni si eran spogliati di quasi tutte le frondi…».

Il Crocefisso dotato da Paolo della Croce alla famiglia Moneta nell’autunno del 1750.

Il ricordo della missione di San Paolo della Croce a Canepina è rimasto vivo nella popolazione fino pochi decenni fa. Al culmine di via Porta Piagge c’è tuttora una base in peperino sulla quale era piantata una Croce in legno con lo stemma dei Passionisti, sostituita perché ormai completamente deteriorata. Proprio per questo la località è comunemente chiamata «Croce» dai canepinesi più anziani. Alla famiglia Moneta, che abitava lì di fronte, il Passionista donò un grande Crocefisso in legno che portava con sé in tutte le missioni. Una vera e propria opera d’arte che uno degli ultimi discendenti della famiglia ha improvvidamente portato altrove. Chissà se il Crocefisso settecentesco sia finita nelle mani di qualche antiquario?

Un ritratto di Bernardino Anguillara dopo essere stato ordinato Padre Passionista.

Ma il rapporto più intenso, fraterno e sotto alcuni aspetti sofferto il futuro santo lo ebbe con Giacomo IV Anguillara e con Anna Cecilia Petti, rampolla di una ricca famiglia canepinese. I due si erano sposati nel 1753. Giacomo era figlio di Bernardino Anguillara, nativo di Blera, e di Benedetta Barbacci di Tuscania. Il padre, una volta stretta amicizia con Paolo della Croce avvertì una forte vocazione religiosa, tanto che rimasto vedovo, nell’agosto del 1743 celebrò la prima messa da Passionista, assumendo il nome di Padre Bernardino di Gesù. Prima di prendere i voti, però, si era occupato di sistemare l’unico figlio superstite, Giacomo IV (gli altri due gli erano morti in giovane età), «combinando» il suo matrimonio con Anna Cecilia Petti. Giacomo IV e la moglie, conobbero a loro volta Paolo della Croce e rimasero folgorati dal suo carisma. Il santo e la coppia ebbero un denso scambio epistolare. In due lettere inviate da Paolo della Croce ad Anna Cecilia esorta lei e il marito ad abbandonare l’idea di separarsi per dedicarsi entrambi alla vita monastica. Il santo riuscì a dissuaderli, tanto che dal loro matrimonio nacquero quattro figli: Averso, Maria, Anna Maria e Bernardino. Quest’ultimo seguì le orme del nonno di cui portava il nome e fu ordinato sacerdote, diventando primicerio e canonico teologo a Tuscania. I figli di Giacomo IV e Anna Cecilia Petti nacquero tutti a Canepina, dove la famiglia Anguillara si era trasferita da Blera, dopo aver venduto tutti i beni lì posseduti.

Don Gianni Carparelli, parroco di Canepina fino all’anno scorso, tra le carte parrocchiali trovò una lettera autografa, datata 1750, con la quale Paolo della Croce ringraziava i canepinesi per l’accoglienza e l’ospitalità ricevuta durante la missione. Lettera che egli ha saggiamente consegnato all’archivio della Congregazione, deve è adeguatamente custodita e messa a disposizione degli studiosi.

Beh, non essendoci in giro un altro San Paolo della Croce, chi mai riuscirà a compiere il «miracolo» di salvare le castagne canepinesi, assediate come sono da mutazioni climatiche, cinipide, balanino, pammene fasciana cydia fagiglandana e altri parassiti? E quale «Santo» contemporaneo potrà far capire a tutti che le diavolerie in commercio possono, forse, ad aumentare un po’ i raccolti, ma di sicuro riescono ad avvelenare l’aria, l’acqua, i funghi e le stesse castagne? E sì, ci vorrebbe davvero un altro «miracolo».

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